Palazzo Molin Erizzo Palazzo gotico, databile verso la metà del XV secolo, con sulla sinistra un’elegante pentafora riqua­drata, ad archi rovesciati e rosoni, che illumina il salone al piano nobile, replicata in forme più sem­plici all’ultimo piano.
Passò agli Erizzo nel 1650. Nel salone c’erano due belle tele seicentesche di Andrea Celesti illu­stranti le imprese eroiche di Paolo Erizzo, morto nel 1470. Insieme con due altri patrizi, Ludovico Calbo e Giovanni Condulmer, egli era responsabile della strategica fortezza di Negroponte, in Eubea, quando i turchi, in piena espansione aggressiva, l’assediaro­no. Egli respinse l’ultimatum, come i comandanti veneziani erano usi fare, ma la sproporzione delle truppe nemiche ebbe ragione della strenua e valo­rosa resistenza. Tutti furono trucidati. Erizzo, ultimo a cadere nelle mani dei turchi, ebbe promessa "salva la testa" dal Sultano che poi, con crudeltà e ferocia, fece legare il disgraziato fra due tavole che vennero indi segate nel mezzo insieme col corpo.

Gli Erizzo, antichissima famiglia venuta da Capodistria a Venezia nel IX secolo, ebbero un doge, Francesco (1631-1646), valoroso uomo d’armi che tuttavia riuscì a mantenere la Serenissima in un lungo periodo di pace. Egli è sepolto in San Marti­no, ma solo recentemente si è saputo che egli aveva voluto il suo cuore accanto all’altare maggiore di San Marco. Per anni si era persa traccia del significato di una lastra a forma di cuore collocata tra i mosaici, ma nei recenti lavori al pavimento la lastra dovette essere rimossa e nella piccola cassetta che essa rico­priva fu ritrovato il cuore del doge.
L’ultimo Erizzo, possessore del palazzo, era un uomo fanaticamente conservatore: agli inizi del 1700, morendo, diseredò il figlio, colpevole ai suoi occhi di essere troppo moderno e di portare "calze rosse e parrucca". In effetti il poverino aveva adot­tato la nuova moda della parrucca, venuta di Fran­cia, per nascondere una vistosa cicatrice sulla fronte. Alla morte del padre egli impugnò il testamento, e la lite fu risolta mediante pagamento da parte sua all’i­stituzione religiosa di 6.000 ducati.