Palazzo Mocenigo Grandioso insieme di quattro edifici contigui, appartenenti alla stessa famiglia. Il primo, detto “Casa nuova” dal ramo della famiglia, era in origine gotico ma venne ricostruito attorno al 1579 forse su progetto di Alessandro Vittoria, viste le analogie con palazzo Balbi. Conclude la serie la “Casa vecchia”, ristrutturazione eseguita nel 1623-1625 da Francesco Contin di una casa gotica della quale rimangono tracce all’interno. Numerosi e famosi personaggi furono ospitati in questi palazzi. Nella primavera del 1418 il doge Tommaso Mocenigo ricevette solennemente il vescovo di Winchester, zio di Enrico III d’Inghilter­ra, il quale, entusiasta delle accoglienze ricevute e affascinato dalla città, vi ritornò nell’autunno dello stesso anno. Nella “Casa vecchia” fu ospite nel 1574 Emanuele Filiberto di Savoia, reduce dalle vittorie di Mühlberg e San Quintino. Un secolo dopo Giovanni Mocenigo ospitò Giordano Bruno, ma poi, non con­dividendone la filosofia, lo denunciò al Santo Uffizio nel 1592. Ed era ancora qui che abitava Anna di Shrewsbury, moglie del conte Arundel, che vi teneva salotto. Ma il patrizio Antonio Foscarini, troppo spesso suo visitatore, fu sospettato di tradire i segreti di Stato e condannato a morte.
Tuttavia la più caratteristica figura legata al palazzo è quella di Lord Byron. A parte i molti amori e bizzarrie che lo resero famoso a Venezia durante i suoi soggiorni, fra il 1816 e il 1819, qui egli scrisse parecchie delle sue splendide poesie. Egli aveva l’abitudine di rincasare la notte nuotando, mentre il suo domestico lo seguiva in gondola con gli abiti in mano. Non fa quindi meraviglia che nel 1818 accettasse una sfida sportiva: partendo dal Lido, percorse a nuoto la laguna e risalì il Canal Grande fino all’altezza del palazzo in cui dimorava. È, appunto, in ricordo di questo episodio che fino al 1949 si disputò sullo stesso percorso un’annuale Coppa Byron.

I Mocenigo furono una grandissima e giusta­mente orgogliosa famiglia, la cui discendenza maschile si è spenta agli inizi del Novecento; fu una delle 16 cosiddette "ducali"; potente fin dal XII secolo. Fu seconda solo ai Contarini in fatto di dogi, infatti essa ne diede ben sette alla Repubblica. Ebbe pure ventisette procuratori di San Marco, e da essa uscirono non solo insigni uomini politici, ma molti tra i più grandi capitani "da Mar", quale il "terror dei Turchi", Lazzaro, eletto alla suprema carica marittima a soli 32 anni per la sua eccezionale abilità e audacia, e morto eroicamente ai Dardanelli nel 1657; oppure Luigi, duca di Candia, che all’inizio della guerra con i turchi, alle grida d’allarme dei suoi per una grossa breccia aperta nelle mura dalle mine nemiche, brandì la spada e rispose fieramente: «E allora moriremo tutti: chi non è vile mi segua»; e i veneziani resistettero a Candia per ben 24 anni.
Il primo doge fu Tommaso (1414-1423), del quale è famoso il testamento politico con la descri­zione della floridezza in cui, morendo, lasciava Venezia. Il secondo, altro grandissimo ammiraglio, fu Pietro (1474-1476). Avviato giovanissimo alla car­riera di mare, s’era coperto di gloria e, come tanti altri, anch’egli era stato assente da Venezia per lun­ghi anni. Vedovo da tempo di Laura Zorzi, dalla quale non aveva avuto figli, si era portato dall’O­riente due schiave turche che con lui convissero fino alla sua morte. Da una di esse ebbe un figlio, Filip­po, poi priore della Ca’ di Dio (ospizio dei pellegri­ni). Sicuramente ebbe altre concubine: infatti nel suo testamento, oltre alle due schiave citate alle quali legò un lascito e la libertà dopo quattro anni dalla sua morte, menzionò pure altre tre domestiche. Tuttavia, secondo le vedute tolleranti e liberali di Vene­zia, nessuno se ne meravigliò né egli ebbe alcuna noia per tale situazione considerata, dopotutto, il... riposo del guerriero. Gli altri dogi furono: Giovanni (1478-1485); Alvise I (1570-1577); Alvise II (1700- 1709); Alvise III (1722-1732), e Alvise IV (1763- 1778). I dogi Mocenigo sono sepolti nella basilica di San Giovanni e Paolo. Questa famiglia diede tanti e così notevoli guerrieri che un poeta cantò:
«Nome famoso, e conto Ovunque il sangue per la patria versato onor riceve Mocenigo! Risuona in questo il nome di molti prodi...».

È molto probabile che il palazzo preesistente a quello della “Casa nuova” risalisse alla seconda metà del Quattrocento; la rifabbrica, avviata per adeguare la residenza alla dignità di Alvise I Mocenigo, il doge in carica durante la vitto­riosa battaglia di Lepanto contro i turchi, ancora non era terminata nel 1579, ov­vero due anni dopo la fine del suo dogado.
Per lungo tempo questa costruzione fu attribuita erroneamente ad Andrea Palla­dio ma è certo che colui che la ideò certamente conosceva e ammirava l’arte del grande architetto padovano, dato che ne trasse ispirazione a piene mani. Si sono fatti molti nomi, da Guglielmo De Grigis a Giovanni Antonio Rusconi, ma sul­la paternità dell’opera non c’è alcuna certezza. In effetti molti elementi, nella fac­ciata sul Canal Grande (forse compiuta solo nei primi anni del Seicento), con­corrono a rimandare all’opera palladiana: le ampie finestre col timpano alterna­tivamente triangolare o curvo, le serliane sovrapposte, le specchiature in pietra fra le diverse aperture e la minuzia nella lavorazione della materia, tutti elemen­ti che erano molto cari al grande maestro. I due piani nobili sono sottolineati dai poggioli continui della serliana posta al centro; una grande quantità di cornici e profili dividono i muri in riquadri di diverse dimensioni che danno un effetto di­namico al disegno. Anche in questo edificio, come in quello detto “Casa vecchia”, erano presenti due slanciati obelischi sul tetto, oggi scomparsi.
Questo raffinato palazzo fu costruito in funzione delle grandi feste e dei ricevi­menti che vi si tenevano periodicamente con grande sfarzo: proprio la scenografica distribuzione di scale e scaloni che danno accesso ai vari piani e la maestosità dell’atrio fanno pensare a questo. E si ricorda, in particolare, la grande festa data da Pisana Corner Mocenigo in onore del re di Polonia Federico Augusto in visi­ta di stato a Venezia: un ricevimento che ebbe vasta eco in tutta Italia e perfino in Europa per il grande sfarzo e il lusso che lo caratterizzarono.
Internamente le varie proprietà Mocenigo furono raccordate sistematicamente so­lo nel 1778, quando un altro Alvise divenne Procuratore di San Marco; prima di tale data, infatti, essi comunicavano solo parzialmente. Più recentemente è stata costruita un’ampia terrazza lungo il profilo superiore dell’edificio, in stile, allo scopo di mascherare un attico di tipo moderno, non molto in tono con il caratte­re della fabbrica.
Gli interni, come si può facilmente immaginare, erano arredati riccamente e con raffinata eleganza. I Mocenigo, infatti, erano grandi collezionisti d’arte e di mo­bili di pregio, oggetti che, quando il ramo della casa nuova si estinse nel 1878, passarono per eredità ai Robilant i quali, però, li dispersero in una grande ven­dita all’asta. Alcune di queste opere, inoltre, andarono disperse durante la prima guerra mondiale.
Oggi, nell’atrio di uno dei quattro palazzi Mocenigo, svetta una grande statua di Napoleone raffigurato nelle vesti di un imperatore romano, con l’aquila e lo scettro. Fu Alvise Mocenigo a commissionarla allo scultore milanese Angelo Piz­zi, anche se comunemente è attribuita al Canova.