Palazzo Gritti Edificio tardorinascimentale, eretto verso la fine del XVI secolo, con trifora balconata al centro del piano nobile.
I Gritti erano una delle famiglie “nuove“, ma che aveva svolto attività tribunizia fin dai primi tempi e della quale si hanno notizie dal 1200. Si è estinta nel secolo scorso. Come tutte le altre famiglie patrizie, diede alla Serenissima capaci servitori, il più importante dei quali fu Andrea (1455-1538), tipica figura del Rinascimento.
Coltissimo, conoscitore di molte lingue, anch'egli dispiegò le sue multiformi doti nella mercatura, nelle armi, nella diplomazia. Era un uomo magnifico anche fisicamente, come si può vedere dallo splendido ritratto - uno dei tanti - che gli fece Tiziano. Fu molto amante delle donne che gli allietarono la vita fino a tarda età ed ebbe parecchi figli naturali che riconobbe. Era vissuto a lungo lontano da Venezia, specie a Costantinopoli dove aveva goduto della stima del Sultano fino a quando, nel 1497, non fu imprigionato quale informatore della Serenissima. Tuttavia non cadde in disgrazia, tanto che, liberato, poté negoziare la pace coi turchi nel 1503. Rientrato in patria quasi cinquantenne, rivesti cariche importanti e nel 1523 fu eletto al dogado per i suoi meriti. Vi furono tuttavia contrasti alla sua elezione a causa dei suoi figli naturali perché, protestava in Senato Alvise Priuli, «non era da far dose uno che avesse tre bastardi in Turchia...».
Durante il suo dogado, Andrea si trovò a dover fronteggiare pericoli dal mare, da parte dei turchi, e da terraferma, a causa delle contese tra Francia e Germania che coinvolgevano tutta l'Europa. Anzi, prima di diventar doge, egli era stato fatto prigioniero dai francesi e portato a Parigi, ma era riuscito a cavarsela bene anche in quel pericoloso frangente.
Nel 1525, sotto gli occhi attoniti dell'intero Senato, in due udienze successive, il doge Andrea ricevette dapprima l'ambasciatore di Francia e pianse con questi a calde lacrime per la cattura di Francesco I a Pavia da parte dell'imperatore Carlo V. Subito dopo ricevette l'ambasciatore tedesco e si rallegrò vivamente con lui per il successo di Carlo V su Francesco I. Poi, divertito, spiegò al Senato che egli seguiva fedelmente la parola di San Paolo il quale aveva detto di gioire con coloro che sono nella gioia e di piangere con coloro che sono nel dolore...
Di carattere forte e deciso, abolì fra l'altro l'uso del gioco di azzardo fra le due colonne della Piazzetta che, concesso nel lontano 1172, nessuno dei suoi predecessori si era sentito di sopprimere apertamente. Saldo, vigoroso, magnetico, donnaiolo, egli era pure un gran mangiatore e, dicono i contemporanei, andava matto per agli e cipolle che a quei tempi non erano comuni come oggi. Morì a 83 anni, non per malattia ma per una scorpacciata di anguille allo spiedo.