Prigioni L’architetto delle Prigioni è quello stesso Anto­nio Da Ponte che costruì il ponte di Rialto.
L’edificio severo, massiccio nei suoi blocchi di pietra istriana, eretto dal 1589 al 1614, era estremamente funzionale e costruito con criteri così umani che venne usato fino al 1926 a tale scopo. È colle­gato al Palazzo Ducale mediante il Ponte dei Sospiri.
Le prigioni venivano regolarmente ispezionate dal capo dei Dieci a ogni entrata in carica, cioè ogni mese, e il magistrato redigeva subito un minuzioso rapporto. È interessante ricordare che fin dalle ori­gini Venezia non si servì della legge germanica secondo la quale un accusato doveva provare la sua innocenza; al contrario era l’accusa che doveva pro­varne la colpevolezza. Dal 1376 una legge sanzionò l’uso in base al quale un nobile colpevole subiva una condanna doppia di un comune cittadino, e dal 1401 venne stabilita l’assistenza giudiziaria gratuita per i poveri.
Tuttavia, anche se a Venezia quel sadismo impe­rante nelle carceri di ogni altro paese fu più limitato, col solito acume psicologico e pratico il Senato non smentì mai le voci sugli orrori delle prigioni, rite­nendo che una salutare paura valesse più di mille ammonizioni.
Nei primi tempi della Repubblica le prigioni avevano sede all’interno dello stes­so Palazzo Ducale. Ben presto questo spazio si rivelò però insufficiente ad ac­cogliere il gran numero di prigionieri che affollavano le luride celle, malsane e insalubri, a tal punto da creare una vera e propria emergenza sanitaria. Fu così che, verso la fine del XV secolo, il Maggior Consiglio prese la decisione di utilizzare come prigione una casa che si trovava al di là del rio della Ca­nonica, ai piedi del Ponte della Paglia (così chiamato poiché vi sostavano le barche con i carichi di paglia destinati agli usi cittadini).
Questa casa venne detta in un primo tempo “Prigion Nova” e poi “Vulcan” e, purtroppo, non ri­solse affatto i problemi legati al sovraffollamento delle celle, anzi, semmai li peggiorò, in quanto all’interno di questo stabile le condizioni igieniche erano ancora più precarie di quanto non fossero quelle delle segrete di Palazzo Du­cale. Fu presa quindi un’altra e più radicale decisione: venne abbattuta la co­struzione della “Prigion Nova” e, al suo posto, ne venne costruita un’altra, det­ta Nuovissima. Tale edificio venne ampliato con interventi che si succedette­ro nell’arco di circa cento anni, nel tentativo, non sempre riuscito, di trovare un giusto equilibrio fra l’esigenza della massima sicurezza e quella di mante­nere ad un buon livello le condizioni igienico-sanitarie, in modo da evitare che fra i carcerati si diffondessero pericolose epidemie. Ma fu solo nel 1574 che il Consiglio dei Dieci deliberò l’acquisto di nuove aree adiacenti all’edificio già esistente per la costruzione di un nuovo e più grande corpo di fabbrica. Lo stesso Da Ponte ha lasciato un’ampia descrizione della parte di edificio prospiciente la riva che sembra corrispondere proprio all’attuale con­figurazione: il piano terra, egli dice, doveva avere il portico sul davanti, poi vi doveva essere un primo piano con le Sale dei Signori di Notte e la Camera del Tormento. La parte di fabbrica che si collegava alla parte già esistente pre­sentava le celle distribuite su tre piani e unite fra loro da piccoli passaggi, i cosiddetti corridoi di ronda; dal pianterreno si innalzava la scala di rappre­sentanza che immetteva alle Sale dei Signori di Notte e al di là delle celle si trovava una piccola chiesetta alla quale si accedeva passando dal cortile in­terno principale, di forma quadrata, mentre un altro cortiletto, a forma di L, era stato ricavato dalla demolizione della parte di fabbricato destinato all’In­quisizione. Al primo piano, nella zona che guarda il bacino di San Marco, si trovava la grande sala della magistratura preposta alla sorveglianza dei pri­gionieri, la quale aveva, inoltre, funzioni di tribunale minore per i delinquen­ti comuni; vi si trovavano anche l’archivio, le sale del Tribunale e la Camera del Tormento. Tra le varie celle ve ne erano alcune destinate alle donne e al­tre completamente cieche, adibite alla segregazione di detenuti pericolosi o che avevano commesso delitti particolarmente efferati.

Questa costruzione fu, per l’epoca, una vera e propria rivoluzione, nel senso che essa migliorò nettamente le condizioni di vita dei prigionieri, in quanto le celle erano molto ben aerate e illuminate e, all'interno dell’edificio, erano state pre­viste ampie e ben attrezzate infermerie sia per uomini che per donne. Fu, inol­tre, il primo esempio in Europa di costruzione isolata a blocco, destinata a pri­gione di Stato: insomma un modello molto positivo, migliore di altri complessi simili della fine del Cinquecento e anche di epoca più tarda. L’edificio carcera­rio mantenne la sua funzione anche dopo la caduta della Repubblica, quando ven­ne utilizzato dai francesi e dagli austriaci; smise di essere utilizzato solo nel 1919, quando oramai esso non rispondeva più ai nuovi standard di sicurezza e igiene.
Quando Da Ponte morì, nel 1597, i lavori furono continuati sotto la direzione di Antonio Contin che progettò anche il Ponte dei Sospiri, che supera il rio della Ca­nonica, quando la Repubblica decise di unire, appunto tramite un ponte, Palaz­zo Ducale alle Prigioni Nuove.
La parte di fabbrica che guarda verso la riva degli Schiavoni presenta una note­vole unità di linguaggio ed è costruita secondo i canoni del Cinquecento matu­ro: la linea austera dei grandi e poderosi muri in pietra d’Istria è mitigata dal bel portico a piano terra e dalle grandi finestre del primo piano. Nelle facciate del rio di Canonica, della calle degli Albanesi e del cortile interno, invece, si legge una grande severità di linea che, del resto, si addiceva perfettamente all’uso cui era stata destinata la costruzione.