Palazzo Ferro Fini (Consiglio Regionale del Veneto) Per chi, lungo il Canal Grande, si porta in direzione San Marco, do­po il grande Palazzo Pisani Gritti che oggi ospita il Gritti Palace Hotel, può notare due palazzi attigui, l’uno più grande, con facciata tipicamente rinascimentale, l’altro più piccolo, in forme gotiche, entrambi candidi nel loro intonaco, restaurati di recente, che sono oggi la sede del Consiglio regionale della Regione del Veneto e che spesso sono indicati col termine comune di Palazzo Ferro Fini. Come già detto, però, i palazzi sono due e, più correttamente, devono essere chia­mati il primo Flangini Fini e il secondo Morosini Ferro Manolesso, due palazzi di epoche di­verse e con storie completamente differenti.

Nel 1620 il ricchissimo avvocato fiscale Tommaso Flangini aveva preso in af­fitto da Marino Contarini ampia parte di un vecchio e rovinoso palazzo gotico preesistente e nel 1638 decise di acquistarlo. Passati due anni, dopo averlo rinno­vato completamente (spendendo l’enorme somma di 50.000 ducati), lo cedette alla figlia Manetta, sposata in Soranzo, che pochi anni dopo lo affittò a Girola­mo Fini che, morta Manetta nel 1661 e passato ogni bene alla comunità greca beneficiata per lascito testamentario, nel 1662 decise di comprarlo, pagando una somma di 120.000 ducati (relativa, però, anche ad una villa e terreni in provin­cia e ad altri beni immobili).
La ristrutturazione secentesca, operata dai Flangini, viene generalmente assegnata ad Alessandro Tremignon (che molto lavorò invece per i Fini), anche se una più attenta lettura di documenti porta invece ad assegnarla a Pietro Bettinelli, che mol­to spesso compare in carte d’archivio della famiglia Flangini quale suo proto. In realtà al Tremignon devono essere assegnati solo i lavori terminali di questo pa­lazzo, relativi all’assestamento interno e alla facciata. Quest’ultima si presenta maestosa, ma evidentemente asimmetrica, sviluppata com’è su due assi vertica­li decentrati, di diversa importanza (questo è successo perché il grande palazzo è nel suo insieme derivato dall’unificazione di due corpi di fabbrica di differen­te grandezza: l’ex Contarini e l’ex Da Ponte) che, partendo dai due portali della riva d’acqua si innalzano lungo le polifere dei due piani nobili, ma mentre le trifo­re di sinistra sono accompagnate da coppie di monofore, quelle sulla destra ri­sultano isolate. Il fronte è, comunque, estremamente lineare nella sua classicità. Tutte le aperture (tranne le finestrelle rettangolari dei due ammezzati) sono chiu­se da archi a tutto sesto, con balconi di differente aggetto, decorate con vigoro­se ed espressive teste marmoree in chiave d’arco e, con i marcapiani e l’elegan­te linea di gronda, conferiscono un aspetto semplice ma raffinato a tutto l’insieme.
Internamente il palazzo era decorato con stucchi di gran qualità che incornicia­vano dipinti di Antonio Zanchi, di Luca da Reggio, di Pietro Liberi, molte sale avevano i soffitti con travature alla sansoviniana e cioè dorate e abbellite da mo­tivi policromi, l’arredamento era veramente sontuoso. Ma il fasto settecentesco andò disperso con gli adattamenti, i frazionamenti e le trasformazioni; restano gli affreschi, le travature e i caminetti, un patrimonio d’arte e d’architettura da difendere gelosamente.
Con la caduta della Repubblica anche i Fini, come tante altre famiglie venezia­ne si impoverì: il palazzo cominciò ad essere frazionato e affittato a nuclei familiari diversi per poi essere venduto. Nel 1890 la famiglia Ivancich, divenu­ta proprietaria di tutto lo stabile e dell’attiguo Palazzo Morosini Ferro Manoles­so (già allora trasformato in Albergo New York), affitta entrambi a degli alber­gatori che unificheranno i due edifici e li trasformeranno in un Grand Hotel. Dal 1972, dopo nuovi restauri a cura dell’architetto Luciano Parenti, è di proprietà della Regione del Veneto.

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