Riva del Vin La Riva del Vin è così chiamata poiché, già dall'XI secolo e fino alla metà dell'Ottocento, vi approdavano e stazionavano le barche cariche di vino. Nel XIII secolo, sulla stessa riva, veniva istituito l' "Uffizio del Dazio del Vin". La Riva del Vin, anticamente, era chiamata riva del Ferro (per la vendita del ferro che avveniva sotto il portico del palazzo dei Dieci Savi), ma poi questo nome passò ad identificare la riva opposta del Canal Grande, dal lato del sestiere di San Marco. Anch'essa aveva un altro nome prima della costruzione del Ponte di Rialto, era chiamata, infatti, Riva della Moneta, in quanto lì vicino si trovava l'antica Zecca.
Nel 1181 venne costruito sul Canal Grande un primitivo ponte, detto della Moneta, utilizzando imbarcazioni dismesse, ma, nel 1250, le barche che avevano fatto da tramite tra le due sponde per quasi un secolo, furono sostituite da un ponte in legno con una sezione centrale mobile, sollevabile al passaggio delle imbarcazioni più alte (risale al 1591 l'inaugurazione dell'attuale Ponte di Rialto, costruito su progetto dell'architetto Antonio Da Ponte).

Sulla Riva del Vin, come detto, stazionava la maggior parte delle imbarcazioni per lo scarico e la vendita all'ingrosso dei vini. Al travaso e al trasporto erano addetti solo i "portadori e travasadori da vin" - sulle loro barche era vietato tenere cani che, abbaiando, avrebbero potuto avvisare dell'arrivo degli ufficiali addetti ai controlli di qualità. Per ogni botte scaricata i "travasadori" ricevevano in dono una "bareta" di vino, modesta quantità corrispondente al cucchiaione di legno usato per raccogliere il vino dal fondo dei barili. Questa usanza risaliva alla venuta, in incognito, di Papa Alessandro III a Venezia, nel 1117. Le cronache dell'epoca riportavano che il Papa, volendo spostarsi da San Silvestro alla riva opposta (l'attuale Riva del Carbon), ricevette il diniego dai barcaioli del traghetto, mentre i "travasadori de vin" si offrirono di fargli attraversare il canale: il Papa profetizzò quindi a loro favore l'emissione di una legge che li avrebbe ricompensati di una certa misura di vino, la bareta, per ogni scarico effettuato.

La qualità del vino veniva severamente salvaguardata dal governo veneziano, con la proibizione di annacquarlo (sin dalla legge annonaria del doge Sebastiano Ziani del 1173) o di alterarlo con l'aggiunta di "rocheta" (erba rucola di sapore forte), di allume di rocca e di melassa, come stabiliva una legge del 1521. I vini adulterati, ovvero "con la consa", venivano versati in Canal Grande dal Ponte di Rialto, mentre quelli buoni, ma sequestrati per altri motivi, venivano donati ai monasteri.
I "mercanti da vin" erano riuniti in una confraternita, istituita all'inizio del XVI secolo e, nel 1565, ottennero una loro Scuola con sede a San Silvestro. Era di loro competenza il commercio dei cosiddetti "vini da pasto", ad esclusione della Malvasia. La vendita al minuto dei vini, molti dei quali denominati "samarchi e samarcheti", per il simbolo del leone di San Marco, avveniva in varie tipologie di botteghe fra cui i "bastioni o magazeni", locali di infimo ordine, mentre le cantine erano chiamate "caneve". Si trattava di vini delle isole della laguna e della limitrofa terraferma, ma anche del Friuli, dell'Istria, della Dalmazia ed altri possedimenti della Serenissima.
Le "malvasie", dette anche banderuole, erano invece botteghe specializzate dove si vendevano vini pregiati provenienti dal Mediterraneo.
Il nome Malvasia identificava un vino dolce e liquoroso. La parola deriva per contrazione da Monenmvasia-Monembasia isola roccaforte situata nel Peloponneso, nella regione di Morea. La repubblica di Venezia vi approdò nel 1247 e ottenne l'esclusiva per vendere in tutta Europa, con il nome di Monemvasia, i vini che vi si producevano. La Malvasia, assieme ad altri vini liquorosi, come il moscato ed altri provenienti da Cipro, Spagna, Sicilia e diverse isole dell'Egeo, trovò grande fortuna sulle tavole dei veneziani, in quanto era ideale per accompagnare dolci tipici, quali pignoccate, marzapane, ciambelle, bussolai e biscotti che mai mancavano nei pranzi delle case patrizie e a Palazzo Ducale.