Riva dei Sette Martiri La Riva dei Sette Martiri (già Riva dell'Impero) è una riva monumentale della città di Venezia. Ubicata nel sestiere di Castello, costeggia la parte del bacino di San Marco tra l'Arsenale e i Giardini della Biennale e costituisce il prolungamento della Riva degli Schiavoni e delle rive successive (Riva di Ca' di Dio e Riva di San Biagio).
La riva venne costruita negli anni trenta del XX secolo, durante il ventennio fascista, con intenti celebrativi e prese il posto della lunga sequenza di “squeri” e cantieri navali che per secoli avevano operato nella zona e venne originariamente denominata Riva dell'Impero con riferimento alla costituzione dell'Impero Italiano da parte di Benito Mussolini. La costruzione iniziò nel 1936 e durò cinque anni, fino all'inaugurazione nel 1941.
La riva, molto ampia e priva di parapetti, inizia all'imbocco della Via Garibaldi ed è collegata alla Riva di San Biagio tramite il ponte della Veneta Marina. Da un punto di vista urbanistico, la modalità di costruzione è identica a quella della Riva degli Schiavoni: il selciato è costituito da ampi “masegni” mentre la parte prospiciente la laguna è realizzata con ampi blocchi di pietra d'Istria.
Durante la seconda guerra mondiale fu teatro di un tragico episodio contro le forze partigiane da parte dell'esercito tedesco. A seguito della scomparsa di un soldato tedesco (che si scoprì poi essere annegato dopo essere caduto in acqua ubriaco), il comando tedesco decise di fucilare per rappresaglia sette prigionieri politici, detenuti nelle carceri cittadine di Santa Maria Maggiore: Aliprando Armellini, 24 anni, di Vercelli, partigiano; Gino Conti, 46 anni, animatore della Resistenza a Cavarzere; Bruno De Gasperi, 20 anni, e i fratelli Alfredo Gelmi, 20 anni, e Luciano Gelmi, 19 anni, di Trento (i tre erano renitenti alla leva); Girolamo Guasto, 25 anni, di Agrigento; Alfredo Vivian, 36 anni, veneziano, comandante militare partigiano. La mattina del 3 agosto 1944 i sette furono legati uno all'altro tra i primi due lampioni della riva, appena ai piedi del ponte della Veneta Marina e ivi fucilati. Prima dell'esecuzione, le truppe tedesche rastrellarono oltre 500 abitanti del quartiere, ad alta concentrazione di antifascisti, obbligandoli ad assistere alla fucilazione. I cadaveri vennero lasciati esposti per diversi giorni a titolo di monito e sorvegliati a vista dai soldati tedeschi per impedirne la rimozione. Al termine delle ostilità, con la fine del regime fascista e con la costituzione della Repubblica Italiana, in ricordo di tale episodio il Comune di Venezia cambiò il nome della Riva nella sua denominazione attuale.
Per molti anni la riva venne usata anche come approdo portuale per l'imbarco e sbarco da parte di navi passeggeri e di traghetti. Attualmente invece viene utilizzata per l'approdo temporaneo di mezzi da diporto o turistici di grandi dimensioni.
Data la sua recente costruzione, sulla riva non si affacciano palazzi né chiese né altri edifici di particolare rilevanza, se si eccettua la porzione di palazzo all'angolo tra la riva e la Via Garibaldi che tradizionalmente si considera fosse la residenza dei navigatori Giovanni e Sebastiano Caboto.
Presenta un certo interesse storico il complesso delle Case della Marinarezza, antiche abitazioni popolari che la Repubblica di Venezia assegnava agli ex-marinai particolarmente meritevoli. Prima della costruzione della riva questi edifici non erano direttamente prospicienti la laguna, essendo separati da essa dalla schiera dei cantieri navali. Dopo la realizzazione della riva, il complesso, caratterizzato da due enormi archi di ingresso, si affaccia direttamente sull'attuale fronte laguna. Da un punto di vista di storia dell'urbanistica, le Case della Marinarezza rappresentano uno dei più antichi esempi di edilizia popolare concepita "ante litteram" secondo il criterio delle abitazioni a schiera a struttura modulare identica, ossia secondo un principio costruttivo che venne poi ampiamente utilizzato nelle urbanizzazioni in tempi molto successivi.