Palazzo D'Anna Martinengo Grande palazzo affacciato sul Canal Grande, costruito nei primi decenni del Cinquecento, quasi del tutto privo di riferimenti decorativi. L’impianto è mol­to tradizionale col solito piano terra, un primo mezzanino, un piano nobile e un secondo mezzanino al sottotetto. La facciata si segnala per il bugnato che si eleva fino al primo ammezzato, per l’ariosa quadrifora ad archi a tutto se­sto con balcone e cornice del piano nobile, per le due coppie di monofore la­terali con balconcini tra le quali sono visibili due grandiosi stemmi (copie mo­derne fatte inserire dagli ultimi proprietari). A sinistra si erge un altro corpo di fabbrica, più stretto, di ampliamento più tardo, unito al palazzo principale e con facciata analoga (quadrifora con balcone e cornice) a quella principale, che si differenzia per la presenza di due portali d’acqua e per il grande doc­cione con testa senile a livello del mezzanino sottotetto. Si noti la grande fa­scia orizzontale compresa tra la linea superiore del piano nobile e la linea in­feriore delle finestre del mezzanino sottotetto: oggi appare vuota e quasi in­sensata, in realtà essa ospitava un tempo splendidi affreschi del Pordenone (pa­re che nel 1529 Michelangelo fosse venuto a Venezia proprio per ammirare e studiare gli affreschi di questo artista) che, purtroppo, già verso la fine del Set­tecento erano quasi completamente scomparsi. Sfarzosissimi sono gli interni, con mobili e quadri d’epoca, ai quali si accede salendo lungo lo scalone d’o­nore che dall’androne al piano terra porta al portego del piano nobile. Una cu­riosità: dopo l’acquisto del palazzo da parte del conte Giuseppe Volpi di Mi­surata, il soffitto del grande salone da ballo venne affrescato, in stile tiepolesco, dal pittore Ettore Tito con una specie di trionfo, un’allegoria gloriosa, nel cui fregio sono indicati i nomi delle vittoriose battaglie dell’esercito italiano in Tripolitania durante la guerra d’Africa (ricordiamo che Misurata, di cui ven­ne nominato conte il Volpi, è proprio una località della Tripolitania dove si svol­se una famosa battaglia e della quale egli fu governatore nel 1921).

Il palazzo venne costruito da ignoto architetto per la famiglia Talenti, ma passò quasi subito in proprietà del facoltoso mercante fiammingo Martino D’Anna (van Haanen). Nella seconda metà del Seicento, la proprietà era allora della fa­miglia Viario, anch’essa di origine fiamminga, subì importanti restauri per esse­re poi acquistato, nel corso del Settecento prima da Pietro Foscarini e poi dai Martinengo. Nell’Ottocento proprietario era il conte Giovanni Conti che, alla sua mor­te, nel 1872, lo destinò ad opere assistenziali (divenne casa di ricovero). Nel 1917, infine, ne divenne proprietario il Volpi (1877-1947), controverso personaggio, fac­cendiere ammanicato col regime del tempo, padre della nascita del­la Venezia di terraferma, cioè delle zone industriali di Marghera, con tutto quel che ne conseguì per la laguna e per la Venezia insulare, che ne fece la sua dimo­ra abituale e il suo luogo di lavoro.

I Martinengo, conti bresciani, furono dei merce­nari al servizio di Venezia, cui diedero valorosi ed esperti condottieri come Gerolamo, governatore di Corfù, quindi di Candia, e Nestore, uno degli infelici difensori di Famagosta; ma le cronache militari ricordano particolarmente Gabriele che fu il più famoso artigliere e ingegnere da assedio dei suoi tempi. Allorché Solimano il Magnifico decise di impossessarsi di Rodi, nel 1522, il Gran Maestro del­l’ordine dei Cavalieri di Rodi s’era rivolto per aiuto al Martinengo e questi, nonostante avesse un’ottima posizione a Creta al servizio di Venezia, mosso dall’ammirazione che provava per il valore dei Cavalieri di Rodi, accettò di dividere con loro l’impossibile impresa della difesa.
Le sue artiglierie, manovrate con micidiale preci­sione, fecero dei vuoti spaventosi nella marea di turchi. E fu lui che col suo ingegnoso sistema riuscì per molto tempo a frustrare ogni tentativo nemico di entrare in città attraverso gallerie scavate sotto le mura: infatti egli stesso aveva fatto aprire delle con­trogallerie e, appostato in esse, spiava le vibrazioni di una pelle di tamburo tesa che rivelava in quale direzione gli zappatori turchi lavorassero. Allora in quella direzione egli faceva rotolare dei barili di pol­vere da sparo, accendeva la miccia e si poneva in sal­vo. L’esplosione poneva fine a tutto. Quando, dopo una vera ecatombe, la moltitudine dei turchi ebbe finalmente ragione di quel manipolo di eroi stremati, Martinengo era gravemente ferito, colpito agli occhi mentre spiava le mosse nemiche da una feritoia, passò molto tempo prima che egli potesse nuova­mente vedere. Solimano, ammirato, nonostante la collera e il dolore per le gravissime perdite subite, concesse ai superstiti di abbandonare l’isola senza molestie.
L’immobile appartiene ora ai Volpi di Misurata.