Palazzo Smith Mangilli Valmarana Fu detto dell’Ambasciatore perché vi abitò il diplomatico inglese Joseph Smith (1674-1770), console inglese a Venezia. Interessante personag­gio quest’inglese: amante dell’arte, spregiudicato collezionista, colto bibliofilo ma anche affarista senza grossi scrupoli, che si arricchì enormemente sfruttando molte volte l’ingenuità delle sue controparti. Proprio l’acquisizione dell’allora di­roccato palazzo che sorgeva sull’area, che era stato di proprietà dei nobili Trevi­san ininterrottamente dal 1518 al 1666 e che da quell’anno era passato alla fa­miglia Ceffis, dimostra tutta la sua abilità nel carpire la buona fede altrui e ad or­ganizzare trame per lui convenienti. Riuscì, infatti, a diventare proprietario del vecchio edificio sfruttando una clausola di prelazione all’acquisto del palazzo sti­lata a suo tempo a vantaggio della nobildonna Elena Balbi e raggirando quest’ultima favorendole il prestito dei 6500 ducati necessari alla compravendita, cosciente che la donna, in cattive condizioni finanziarie, mai avrebbe potuto rimborsare. E co­sì fu: il 20 aprile 1740, con atto notarile, ne diventava ufficialmente proprietario e ne iniziava i restauri.
In realtà si deve parlare di vera e propria ricostruzione perché niente è rimasto del vecchio e cadente edificio Trevisàn Ceffis; il progettista incaricato dei lavo­ri fu l’amico e più volte collaboratore Antonio Visentini (architetto, pittore e in­cisore), che, a causa di una vertenza legale con i vicini Michiel potè avviare il cantiere solo nel 1748, per portare a termine la facciata nel 1751; ancora un paio d’anni e la dimora sul Canal Grande poteva dirsi conclusa. Lo Smith morì nel 1770 (nel frattempo aveva venduto quasi tutto: la collezione di quadri e incisioni alla corte inglese per l’enorme cifra di 320.000 ducati, la sua ricca biblioteca, le sue attività commerciali, la villa in quel di Mogliano ecc.), il palazzo passò alla ve­dova, che lo vendette a sua volta al conte Giuseppe Mangilli nel 1784, che finanziò nuovi restauri e interventi ad opera dell’architetto Giovanni Antonio Selva, l’architetto della Fenice. Fu quest’ultimo che, distruggendone le studiate proporzioni, sopraelevò il palazzo del secondo e terzo piano e che ridisegnò gli interni in modo che assumessero il bell’aspetto neoclassico che ancora oggi conservano. L’edificio fu poi Valmarana, antica famiglia nobile vicentina, aggregata al patriziato veneziano “per sol­do” nel 1658.
La bella fabbrica oggi mostra la sua lineare facciata impreziosita soprattutto dal­la balaustra che corre lungo il Canal Grande, dal portale arcuato con timpano triangolare e dalle cinque finestre del primo piano - quella di centro sormontata da un arco a tutto sesto, quelle laterali da cornici a timpano - intervallate da cop­pie di lesene e, al centro, da colonne con capitello corinzio. Sopra la linea delle finestre del primo piano corre una trabeazione con timpano curvilinea al centro. Sul retro un bel giardino preserva l’edifico dai rumori e dal chiasso della sempre affollata Strada Nova.