Palazzo Michiel delle Colonne Il suggestivo nome di questo sereno e composto edificio affacciato sul Canal Grande è dettato proprio dalla sua caratteristica principale, ossia la particola­re struttura architettonica al piano terreno che presenta un portico lungo tutta la facciata costituito da colonne molto alte e unite fra loro da archi a tutto se­sto con serliana centrale. Ciò rivela la pianta tipica della casa-fondaco bizan­tina, e quindi anche l’antica origine della fabbrica, poiché questa tipologia co­struttiva era caratteristica proprio dei palazzi del XIII secolo. In origine appar­tenne ai Grimani, che probabilmente lo avevano anche fondato, lo cedettero poi agli Zen che lo fecero ristrutturare nel­l’ultimo decennio del XVII secolo da Antonio Gaspari. Egli ha rinnovato completamente la facciata che, pur mantenendo una compostezza di linee, con le luci armoniosamente distribuite attorno alle serliane che campiscono il centro dei due piani nobili, è ravvivata da elementi tipici dell’epoca barocca, come le sagome dei poggioli e i frontocini spezzati con busti delle finestre. Vi ebbe dimora Fernando Carlo Gonzaga, ultimo Duca di Mantova, morto nel 1713, e passò quindi in pro­prietà ai Michiel dai quali l’acquistò il conte Leo­pardi Martinengo che, alla propria morte avvenuta nel 1884, lo legò in eredità ai Donà. In questo palazzo alloggiarono pure, agli inizi del ’700, Fede­rico II di Sassonia, poi re di Polonia, e l’eletto re di Baviera Carlo Alberto con sua madre.

I Michiel appartennero al gruppo delle sedici famiglie "tribunizie" che nel 697 elessero il proprio doge, e sono menzionati in documenti ufficiali ante­riori all’anno 800. Furono così importanti che nel giro di mezzo secolo ebbero tre dogi. Vitale (1096- 1102) concorse alla prima crociata di Pietro l’Ere­mita in Terra Santa. Il comando dell’impresa fu affi­dato al figlio Giovanni il quale seppe così ben con­durla che Venezia ne ricavò benefici immensi, sia immediati sia per il futuro. Non si conoscono i motivi per i quali Vitale fu trucidato.
Seguì Domenico (1118-1129), figlio di Giovanni, il quale alle pressanti richieste di aiuto lanciategli da Baldovino II re di Gerusalemme, memore dei van­taggi ottenuti dal padre, allestì d’urgenza una flotta armata di 200 navi e, presone il comando, riuscì a distruggere la squadra mussulmana che rappresen­tava un gran pericolo per i crociati. Nel 1224, dopo due anni di permanenza in Palestina, prese parte alla conquista di Tiro, eliminandone la minaccia. Curioso è il fatto che, mentre si protraeva l’assedio a Tiro, corse voce che la flotta di San Marco, cui spettava il compito di impedire ogni comunicazione dal mare, non muovesse un dito per aiutare i crociati che assediavano da terra la città fortificata, non solo, ma che fosse in procinto di abbandonare l’impresa. I veneziani ben sapevano quanto la loro potenza fosse invidiata e se la prendevano con filosofia. Ma il doge se ne dispiacque e diede ordine di togliere le vele, i remi e i timoni alle 200 navi, in modo da immobilizzarle senza scampo, e di portare il tutto al campo dei crociati i quali, rassicurati, gli chiesero scusa per aver dubitato della sua lealtà. Tiro cadde qualche settimana dopo questo episodio. Dopo aver assicurato alla Repubblica formidabili vantaggi mate­riali e commerciali, il doge Michiel si accinse al ritor­no, ma ricordando che c’era in sospeso un vecchio conto da liquidare con Bisanzio, saccheggiò parec­chie isole dell’Egeo e fra il bottino portò pure le colonne che da allora adornano Piazzetta San Mar­co. Egli fu uno dei più famosi dogi. A lui i crociati offrirono il trono di Gerusalemme, che egli rifiutò; anzi, nel 1129 depose le insegne del potere ritiran­dosi a vita privata.
Vitale II (1156-1172) fu degno dei suoi avi ma sfortunato. Benché di indole pacifica, fu costretto a prendere le armi contro Bisanzio, il cui Basileus, Manuele I Comneno, aveva ordinato l’arresto di tutti i veneziani residenti nel suo regno e la confisca dei loro beni. Purtroppo un’epidemia infierì sull’armata della Serenissima che, decimata, fu costretta a riprendere la via del ritorno. Il risentimento per tale fallimento fu così vivo in Venezia che il popolo finì per scatenarsi contro l’infelice Vitale il quale fu ucciso mentre si recava alla chiesa di San Zaccaria. Nel secolo scorso i Michiel raccolsero le eredità cospicue di importanti rami delle famiglie Zane, Barbarigo, Corner e Sagredo, ma la loro discendenza maschile si è estinta di recente. Durante il XIX secolo il palazzo, per varie traversie ereditarie, passò prima ai Martinengo e poi ai Donà delle Rose; attualmente ospita la sede dell’Ufficio del Registro.