Ca Foscari Ca' Foscari e l'attiguo Palazzo Giustinian (che consta di due edifici gemelli) costituiscono un unicum architettonico che rappresenta uno degli esempi più importanti del gotico maturo a Venezia e certamente conferisce, con la leggiadria del disegno e del caldo cromatismo, un'aura straordinariamente suggestiva e affascinante a questa parte del Canal Grande.
Nel Trecento i Giustinian avevano fatto costruire in questo sito un palazzo con torrette laterali che nel 1430 era stato acquistato dalla Repubblica e assegnato dapprima al marchese di Mantova e poi al duca Francesco Sforza. Infine nel 1452 il doge Francesco Foscari lo acquistò per sè, ma siccome l'edificio si trovava arretrato rispetto alla riva, egli lo fece abbattere e ricostruire allineandone la facciata a quella dell'adiacente palazzo Giustinian a formare un'unica grande quinta architettonica in «volta de Canal». I lavori per completare la sfarzosa facciata, che si eleva per quattro piani, completamente aperta al centro da polifore a otto luci, con archi intrecciati e quadrilobi, proseguirono per molto tempo, tanto che alcuni elementi scultorei preannunciano la prima rinascenza, come la bella fascia marmorea che sovrasta la seconda polifora, scolpita a bassorilievo con lo stemma di famiglia retto ai lati da quattro putti. Il palazzo venne ampliato nel '700 sul retro, verso la vasta corte cinta da mura merlate, e fu restaurato nel 1867.
Fu proprio in questo palazzo che il vecchio Francesco Foscari morì nel 1457 ed in quella stessa stanza fu ospitata, due secoli dopo, nel 1699, Maria Casimira regina di Polonia.

E' detentore di un record Francesco Foscari: egli detiene il più lungo dogado della storia di Venezia. Fu eletto infatti nel 1423, a soli quarantanove anni, nonostante una durissima opposizione che aveva trovato il maggiore esponente nel suo predecessore, Tommaso Mocenigo, e fu costretto ad abdicare nel 1457. Il doge Foscari fu un uomo di grande abilità diplomatica, lungimirante ed esperto, leader della corrente che sosteneva la necessità, per la città lagunare, di espandersi anche in terraferma e di non contare più soltanto sulla potenza finanziaria e sull'impero d'oltremare. Certo la sua fu una vita di grandi onori ma anche di altrettanto grandi amarezze che gli presentarono il conto proprio quando lui, vecchio e stanco, era ormai prossimo alla fine. Tutto iniziò a causa di suo figlio Jacopo, un raffinato umanista poco esperto delle cose della politica, il quale venne accusato di aver ricevuto, contravvenendo in tal modo alla legge, doni in cambio di favori e per tale ragione fu condannato all'esilio. Venne successivamente richiamato in patria ma, subito dopo, di nuovo esiliato con la pesante accusa di aver attentato alla vita di uno dei magistrati che l'avevano inquisito, il patrizio Almorò Donà, membro del Consiglio dei Dieci. Questa volta Jacopo, mandato nella lontana Creta, vi morì. Il doge era un uomo di tempra non comune poiché era sopravvissuto a molte prove, fra le quali un attentato, ma le traversie familiari, il lungo dogado, e soprattutto l'età si facevano sentire. Cominciò a disertare le riunioni degli organi costituzionali e, insofferente nel ricevere dignitari e politici, si mostrava ormai esausto e logoro. Per questa ragione il Consiglio dei Dieci, in quel periodo molto influente, capitanato da Jacopo Loredan, Girolamo Donà e Girolamo Barbarigo, invitò il vecchio doge ad abdicare, in nome del suo senso di responsabilità e del suo patriottismo. Nonostante le legittime resistenze del Foscari, alla fine i Dieci riuscirono ad imporre la loro volontà e in Palazzo Ducale si svolse così una ben triste cerimonia: alla presenza dei tre capi del Consiglio dei Dieci, della Signoria e dei tre capi del Senato, venne tolto dal capo del doge il corno ducale, simbolo supremo della sua carica, gli venne sfilato l'anello col sigillo dal dito e subito spezzato e gli venne fatta fare solenne promessa di uscire subito da Palazzo Ducale per recarsi nella sua dimora di Canal Grande. In un ultimo scatto d'orgoglio il doge rifiutò di uscire da una porta secondaria e volle scendere dalla stessa scala che, appena eletto, aveva percorso per prendere possesso della sede dogale. Questa brutta e triste storia diede materia a Lord Byron che scrisse la sua tragedia: I due Foscari (1821), da cui venne tratto l'omonimo melodramma di Giuseppe Verdi nel 1844. Peraltro la durezza riservata a Francesca Foscari suscitò riprovazione in tutta Venezia, e ciò causò forti ritorsioni da parte del Maggior Consiglio nei confronti del Consiglio dei Dieci al quale, almeno per il momento, venne proibito di immischiarsi in faccende riguardanti i carichi dogali.
Una diffusa leggenda narra che, eletto doge il 30 ottobre 1457 Pasquale Malipiero, al vecchio Foscari, chiuso nel suo palazzo, giungesse lo scampanio a distesa di tutte le chiese che annunciava l'avvenuta elezione e che, proprio all'alba successiva, egli morisse lasciando nella popolazione quasi un senso di rimorso per quel trattamento disonorevole poi risultato inutile visto che il vecchio doge aveva già le ore contate. La vedova dapprima si rifiutò di consegnare la salma del marito per i funerali di stato, poi acconsentì all'esposizione del corpo in vesti dogali, col coro in testa e lo stocco al fianco. La processione funebre attraversò tutta Venezia e una gran folla accompagnò il Foscari fino a San Maria dei Frari dove, ancora oggi, riposa.

Ma Ca' Foscari non ha assistito solo ad episodi così tristi. Grazie alla sua collocazione che consente di spaziare con la vista dal Ponte di Rialto alle Gallerie dell'Accademia, il secondo piano fu scelto da molti pittori (come Canaletto, Michele Marieschi, Francesco Guardi) come postazione per dipingere vedute del Canal Grande. Nel 1574 ospitò una festa rimasta memorabile in onore di Enrico III di Francia, il quale, assieme a sua moglie Eleonora, lasciato il trono polacco, stava andando, attraverso l'Italia, a Parigi per cingere la corona francese. Tremila ospiti mangiarono su piatti d'argento e i pasticcieri avevano decorato le tavole con figure mitologiche e storiche di zucchero. Quando il giovane sovrano tentò di spiegare il suo tovagliolo si accorse che pure quello era di zucchero. E per onorarlo - e sbalordirlo - mentre pranzava fu montata una galera completa (della quale gli erano stati mostrati i pezzi separati poche ore prima), che venne poi fatta scivolare nel Canale e messa a disposizione dell'illustre ospite. Nel Canal Grande era stata inoltre ammarrata alla riva del palazzo una grotta galleggiante con un Nettuno e tritoni scolpiti che sarebbe servita per la distribuzione dei premi della grande regata che venne disputata per l'occasione. Anche un palco venne allestito su una serie di barche affiancate: vi si esibirono grandi concertisti quali Claudio Merulo e Andrea Gabrieli. Ma la storia dei palazzi e delle grandi famiglie ci insegna che c'è sempre un parabola discendente: requisito dall'autorità militare austriaca, nella seconda metà dell'Ottocento, il palazzo attraversò un triste periodo di decadenza che il famoso autore di Moby Dick, Herman Melville, in visita a Venezia nel 1857, ci testimonia. Il grande scrittore rimase molto rattristato, visitando Ca' Foscari, dai magnifici saloni con ancora attaccati gli splendidi arazzi trasformati in camere e dalla cucina da campo sistemata nello splendido atrio. In quel periodo sparirono molti oggetti di valore e gran parte del mobilio e le sale che avevano conosciuto i fasti delle corti si ridussero a squallidi stanzoni.
Il Comune di Venezia lo acquistò nel 1847 e, dopo un importante restauro, lo destinò a sede dell'Istituto Universitario di Economia e Commercio. Verso gli anni Cinquanta del Novecento l'architetto Carlo Scarpa fu incaricato della risistemazione del portico terreno e dell'aula magna del secondo piano. Al secondo piano si trova l'aula Baratto che fu affrescata da Mario Sironi (Venezia, l'Italia e gli studi, 1935-1936). L'affresco comprende una serie di figure allegoriche: uno studente-atleta con libro e moschetto, simbolo dei Gruppi universitari fascisti, la Tecnica, come figura femminile appoggiata ad una ruota, la Medicina, figura femminile con caduceo, Venezia in trono, a cui si aggiungono il Leone di San Marco, le cupole della Basilica di San Marco e l'allegoria della Madre patria, che celebra la vittoria italiana nella guerra d'Etiopia. Nell'aula venne inoltre spostato un affresco di Mario Deluigi (La scuola), originariamente collocato al primo piano, che raffigura il maestro della scuola dei filosofi circondato dagli studenti.
C'è da ricordare che ancora oggi davanti a questa antica dimora attracca la cosiddetta "machina", ovvero il palco galleggiante sul quale pendono posto le autorità e dove si conclude la Regata Storica. Da molti anni comunque il palazzo ha riacquistato dignità internazionale essendo le sede principale della rinomata Università veneziana di Ca' Foscari.


Università Ca' Foscari di Venezia: www.unive.it