Campanile di San Marco I veneziani lo chiamano affettuosamente “el paron de casa”.
Esso serviva come punto di riferimento ai navi­ganti: l’ultimo saluto di Venezia a chi partiva, il primo benvenuto a chi arrivava.
Fu costruito sotto il dogado di Pietro Tribuno (888-912), molto più basso di quello attuale ma sem­pre considerevole per i suoi tempi, e serviva anche da faro. Era addossato ad altri edifici e lungo la sua rampa a spirale, nel 1452, l’imperatore Federico III salì a cavallo per ammirare il panorama. Nel 1609 Galileo, dall’alto della cella campanaria, diede alla Signoria la prima dimostrazione del suo telescopio. Dopo essere stato più volte restaurato e parzial­mente rifatto, nei primi anni del Cinquecento, con l’aggiunta di una cella campanaria più alta e con la cuspide piramidale collocata sul tamburo, il campa­nile aveva raggiunto il suo aspetto definitivo ed era già stato liberato dalle costruzioni adiacenti che lo soffocavano.
Ai suoi piedi, tra il 1537 e il 1549, fu costruita dal Sansovino la Loggetta, tutta rivestita in marmo, a tre arcate fiancheggiate da colonne binate, su modello degli archi di trionfo. Nelle nicchie tra le colonne si trovano quattro statue bronzee del Sanso­vino che, come tutto l’apparato decorativo, cele­brano la gloria della Serenissima e la sua politica di pace.
Nel 1513 sulla cuspide rivestita di rame del cam­panile era stato sistemato un angelo dorato ruotante al vento, sostituito nell’800 da una copia. Ancor oggi i veneziani sanno dire che tempo fa guardando il loro angelo: se ha il viso verso la basilica significa che la protegge dal maltempo, se guarda la laguna ci sarà bel tempo.

Si può affermare che la vita di Venezia fu ritmata dal suono delle campane di questo campanile: la maggiore di esse, la Marangona o Carpentera - dal nome della più importante corporazione - chiamava gli operai al lavoro. La Nona annunciava la sosta di mezzogiorno. La Mezza Terza ricordava le riunioni del Senato, mentre la Trottiera faceva sapere ai patrizi che era tempo di mettere i cavalli al trotto per non arrivare tardi. La più piccola, detta Renghera o del Maleficio, era usata per annunciare le esecuzioni capitali. A metà altezza del campanile, su una trave spor­gente, era appesa una gabbia di legno, la “cheba”, usata per punire i religiosi che avevano commesso qualche reato. Essi venivano rinchiusi ed esposti alle intemperie e al dileggio dei passanti. La gabbia fu soppressa nel XVI secolo e l’ultimo suo ospite fu un prete: Francesco di San Polo che aveva bestemmiato per la fortuna avversa al gioco. Ci viene tramandato il lamento cinquecentesco di un prete Agostino, con­dannato a due mesi e mezzo di “cheba” a pane e acqua: i versi non son davvero eleganti ma assai caratteristici:
«Mi porgono il mangiar per un sol buso con l’acqua che mi dan invece del vino or, con ragion, il mio peccato accuso; e più mi duol che ogni sera e mattino da mezzodì, e a tutte quante l’ore mi chiaman i fanciulli: o pre’ Agostino!
Mi danno alcuna volta tal stridore che son costretto a pissarli addosso per isfogar alquanto il mio dolor...».

Il campanile fu colpito più volte dal fulmine, ma sfidò impavido i secoli fino quando, nel 1902, crollò improvvisamente abbattendosi su se stesso, senza causare danni oltre alla distruzione della Loggetta ai suoi piedi. I materiali antichi vennero recuperati ed esso fu ricostruito entro il 1912 esattamente dov’era e com’era. Riebbe le sue cinque campane e all’apice dei suoi 98,60 metri l’Angelo ritornò a ruotare al vento. Anche la Loggetta fu ricomposta con i fram­menti originari recuperati.

Campanile di San Marco: http://www.basilicasanmarco.it/ita/basilica_camp/campanile.bsm