Ca Sagredo La facciata di questo palazzo di origine veneto-­bizantina, rimaneggiata in periodo gotico, è uscita fortunatamente indenne da un radicale intervento di rinnovamento commissionato all’inizio del XVIII secolo a Tommaso Temanza dall’allora proprietario Gherardo Sagredo. Si è così conservata la bella esafora bizantina ad archi rialzati del primo piano e la quadrifora con quadrilobi, affiancata da monofore riquadrate, del secondo piano, databile tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. L’interno, completamente rinnovato, conserva un bel scalone settecente­sco, attribuito ad Andrea Tirali, affrescato da Pietro Longhi nel 1734 con la Caduta dei Giganti. Molto belli anche gli stucchi di Abbondio Stazio e Carpoforo Mazzetti-Tencalla.

I Sagredo vennero a Venezia nell’840 e furono ammessi al Maggior Consiglio nel 1100. Nell’XI secolo edificarono la chiesa di Santa Ternita (Santa Trinità) presso la quale possedettero varie case oltre al loro palazzo. Si dice che il loro nome derivi dall’esser stati i depositari di importanti segreti e con­fidenze concernenti l’amministrazione provinciale ai tempi romani. Sin dal principio essi si erano dedicati al commercio del legname con l’entroterra italiano e dalmata, cosicché non subirono le enormi perdite sofferte da molti altri patrizi le cui fortune erano legate ai traffici d’Oriente. La loro ricchezza era pro­verbiale ancora nel ’700 e quando si estinse la linea del doge Nicolò, eletto nel 1674, il cui fratello Alvi­se, patriarca di Venezia dal 1678, era privo di discendenti, i beni della famiglia e il palazzo furono lasciati ad un altro ramo. Fra gli illustri diplo­matici dati a Venezia, va ricordato Giovanni Sagredo: ambasciatore che ebbe dalla Francia l’onore di poter inserire i gigli reali sulla fascia rossa in campo d’oro del suo stemma.
La famiglia si spense con la morte del conte Ago­stino, nel 1871.
Si racconta di una burla rimasta famosa, giocata nella loro villa sul Brenta ai danni di un amico. Durante un’allegra e abbondante cena, copiosa­mente annaffiata dal vino, fu detto a un giovane, ostentatamente scettico, che talvolta i fantasmi disturbavano quella dimora. Nella notte il giovane fu svegliato da rumori e urla agghiaccianti, il suo letto cominciò a scuotersi furiosamente e le coperte scivolarono via. Non solo: dei fuochi fatui presero a muo­versi verso di lui. Alle sue grida di terrore risposero le risate degli amici: fatta luce, egli constatò che i fuochi fatui erano lumini attaccati alle code di parec­chi gamberi...