Fondaco dei Turchi A guardare bene questa costruzione che sorge sulla parte destra del Canal Grande, simbolo di quella volontà di recupero, nostalgica e romantica, dell'immagine riflessa della passata grandezza di Venezia, sembra inevitabile la sensazione di falso, di pura imitazione di ciò che fu. Ciò è dovuto al radicale restauro, iniziato nel 1869 su progetto di Federico Berchet e protrattosi per circa un cinquantennio, che mirò a copiare l'originario stile bizantino, ripetendone la decorazione a patere e impiegando cornici di recupero e migliaia di falsi scultorei. Certo prima di quell'intervento l'edificio si presentava come una immensa rovina, nella quale la grandiosa bellezza originaria oramai non si leggeva più, o meglio si leggeva solo se interpretata alla luce del mito romantico: sussistevano solo alcuni materiali preziosi e bellissime sculture poi riutilizzate nel restauro di cui si è già detto.
Se, dunque, quei tanto vituperati lavori di restauro non lo avessero tanto stravolto, questo oggi sarebbe l'esempio più importante, a Venezia, di architettura civile veneto-bizantina. Costruito probabilmente intorno al 1225 su iniziativa di Giacomo Palmieri, console del libero comune di Pesaro, il quale dette origine alla potente famiglia dei Pesaro. Questa famiglia di mercanti, appartenente al nuovo patriziato veneziano, accumulò ricchezze davvero ingenti, al punto da potersi permettere di costruire due prestigiose dimore, ovvero il palazzo gotico detto degli Orfei a San Beneto e la vera e propria reggia di Ca' Pesaro fabbricata da Baldassarre Longhena sul Canal Grande.

Secondo lo schema originario, la facciata del fondaco è inquadrata fra due torrette, un elemento molto comune negli antichi palazzi veneziani del Duecento. Il vasto porticato terreno di accesso all'acqua, il più ampio esistente a Venezia dopo quello più tardo di Palazzo Ducale, deriva dalle costruzioni della tarda romanità ed è molto adatto al carico e allo scarico delle merci, così come si addiceva ad una residenza di mercanti. Fin dalle origini, questo edificio venne considerato fra i più prestigiosi fra quelli che si affacciavano sulla principale via d'acqua veneziana, tanto che nel 1381 la Signoria volle acquistarlo per la somma stellare di diecimila ducati d'oro per donarlo a Nicolò d'Este, marchese di Ferrara, come ricompensa della fedeltà dimostrata alla Serenissima durante la guerra di Chioggia, quando i genovesi si spinsero fino ai bordi della laguna con l'intento di dare l'assalto a Venezia e molti principi e signorotti italiani e stranieri si erano alleati con loro. Da quel momento il palazzo venne dato e tolto più volte agli estensi, a seconda di come spiravano i venti politici tra le due signorie. Nel 1509, poiché Alfonso I d'Este entrò a far parte della lega antiveneziana di Cambrai, l'edificio gli venne confiscato e donato al papa Giulio II che lo aveva espressamente richiesto. Passato al papa Leone X, questi ne fece dono al prelato Altobello Averoldo, ma poiché, nel 1527, gli estensi si ritrovarono di nuovo alleati ai veneziani, la Repubblica lo rese di nuovo a questa famiglia e a loro rimase fino al 1602, anno in cui Cesare d'Este lo cedette al cardinale Aldobrandini il quale, a sua volta, lo venderà nel 1618 ad Antonio Priuli, eletto doge quello stesso anno.

Da molti anni si discuteva a Venezia circa l'opportunità di concedere ai mercanti turchi una sede collettiva: l'idea aveva trovato sempre una certa opposizione anche fra la popolazione e ciò aveva ritardato la concretizzazione del progetto che era stato formulato fin dal 1608. La proposta, che era peraltro già stata attuata per i mercanti tedeschi ai quali era stata assegnata una loro sede, prevedeva che il luogo fosse vigilato e che i turchi fossero costretti a rientrarvi entro una certa ora di sera e, inoltre, custodissero qui le merci. Fu solo nel 1621 che i Cinque Savi alla Mercanzia riuscirono ad affittare il fondaco a questo scopo; in quell'occasione furono risistemati molti ambienti interni dai quali furono ricavati ventiquattro magazzini e cinquantadue camere con lavatoi e servizi. Sensali e traduttori assistevano i mercanti fra i quali erano numerosi gli albanesi e i bosniaci: era comunque vietato l'ingresso nel fondaco alle donne cristiane e ai giovanetti imberbi. Dopo il disastro della guerra di Candia (1644-69), il commercio con l'Oriente ebbe un brusco arresto, diminuirono le entrate legate alle pigioni pagate dai mercanti levantini e l'edificio decadde tanto che nel 1732 si verificò addirittura un grave crollo nella struttura. Per questioni ereditarie i Pesaro ne rientrarono in possesso e, alla loro estinzione, il palazzo passò ai Manin che lo vendettero ad un imprenditore edile. Nel 1860 il Comune di Venezia lo acquistò per 80.000 fiorini austriaci. Le condizioni in cui versava la fabbrica erano disastrose per cui fu deciso il controverso restauro di cui si è detto in apertura di questa scheda. Nel 1865 vi fu fissata la sede del Museo Correr ma dal 1923 qui venne trasferito il Museo di Storia Naturale che nacque su iniziativa di Giorgio Silvio Coen e che comprende interessanti collezioni riguardanti specialmente la fauna e la flora lagunare veneta. Negli ambienti del Fontego dei Turchi sono oggi esposte le diverse raccolte scientifiche esistenti a Venezia, da quelle del Museo Correr a quelle dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, la collezione privata del conte Alessandro Pericle Ninni e altre ancora. Da ricordare la collezione entomologica Giordani Soika (presente dal 1983), la raccolta naturalistica Bisacco Palazzi (dal 1986), la raccolta malacologica Cesari (dal 1993) la collezione ornitologica Perale, oltre alla celebre collezione Ligabue con i reperti fossili di dinosauri e alle raccolte etnologiche africane.

Museo di storia naturale: http://www.msn.visitmuve.it/