Palazzo Moro Sobrio ed austero edificio degli inizi del XVI secolo, anche noto come palazzo Guoro, è stato certamente eretto su preesistenti fabbriche gotiche, dei primi decenni del Cinquecento, ma estremamente rimaneggiato nell'Ottocento. La liscia parete muraria della facciata è interrotta solo dalle semplici aperture arcuate che si addensano al centro in due quadrifore sovrapposte, dei due piani nobili, con balconi, decorati da motivi floreali sul colmo degli archi. La facciata laterale sul rio risulta ancor più semplice e spoglia, segnata solo da una serie di monofore e bifore.

Nota fin dal X secolo, la famiglia Moro fu annoverata fra il patriziato alla Serrata del Gran Consiglio del 1297. Diede a Venezia famosi amministratori e capitani ed ebbe un doge, Cristoforo (1462-1471), che abitò appunto in questo palazzo. Un libello prorpio contro Cristoforo Moro raccontava la tragedia coniugale che aveva colpito la sua famiglia, e da ciò (pare) Shakespeare trasse lo spunto per il suo Otello che, per analogia con il nome, volle moro. Da notare che uno dei palazzi Moro è chiamato "casa di Otello", mentre un delizioso edificio gotico fiorito che si affaccia sul Canal Grande è detto "casa di Desdemona". Sembra infatti che l'Otello "originale" fosse il giovane Cristoforo e Desdemona la sua prima moglie. Il doge è sepolto davanti all'altar maggiore della chiesa di San Giobbe e, benché gli scettici sostengano che si tratti di una leggenda, è interessante rilevare che sull'emblema del casato, scolpito sul monumento sepolcrale, si vede una mora: Shakespeare descrive il pegno d'amore di Otello a Desdemona come un fine fazzoletto ricamato con more (atto IV, scena III).
Ciò che di sicuro si sa di questo doge è che al tempo della sua elezione era divenuto molto pio ed era amico di San Bernardino da Siena, e che, a causa della recrudescenza della guerra con i turchi, il suo fu un dogado aspro e difficile. Sappiamo inoltre che papa Pio II aveva bandito una crociata, ma Cristoforo Moro non voleva prendervi parte e cercava di procrastinare ogni decisione in proposito. Fu allora, in piena riunione del Senato, che Vettor Capello - quello che poi subirà una sconfitta e ne morirà di crepacuore - così apostrofò il doge, secondo quanto ci riporta il Sanudo: «Serenissimo principe, se la serenità vostra no vorà andar co le bone, la faremo andar per forza, perché gavemo più caro el onor de sta terra che no xe la persona vostra». Così, a malincuore, il doge fu costretto a promettere di partire. Quando, infine, nel 1464 prese il mare, la crociata andò a monte perché il pontefice morì e la flotta veneziana poté rientrare tranquilla a Venezia.